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INTERVISTE

GIANRICO TEDESCHI
«Per vivere a Venezia bisogna essere artisti»

di Riccardo Petito
in "Il Gazzettino", n. 78, 1 aprile 2007, p. XVII.

L'assunto di "Smemorando. La ballata del tempo ritrovato" (ultima replica oggi al Teatro Goldoni, alle 16), scritto e interpretato da uno dei massimi attori italiani, Gianrico Tedeschi , è che la memoria è il bene più prezioso che accompagna un uomo, che ha il dovere di ripercorrere la propria esistenza e di farne tesoro agli altri, al fine di "ricordar" loro di che atrocità sanno macchiarsi i propri simili. Ma anche, tramite il suo percorso professionale e di uomo, restituire al pubblico voci ed emozioni che hanno accompagnato una straordinaria carriera, intrecciando brani di scrittori, poeti e filosofi, fra cui Guareschi, Carducci, Rigoni Stern, D'Annunzio, Shakespeare e Cechov, come pure Ruzante. Tra i suoi monologhi si inseriscono gli inserti musicali ben interpretati dalla figlia Sveva, mentre in scena appare anche Gianfranco Candia. La regia è di Gianni Fenzi.

Tedeschi, qualcosa in particolare la lega alla città di Venezia?

«Un ricordo eccezionale. Qui infatti, con Luchino Visconti, abbiamo portato in scena una "Locandiera" alla Fenice, per il Festival internazionale del Teatro, nel 1952, assai discussa per la provocazione dell'allestimento che, come hanno detto non solo i veneziani, "usciva dalla tradizione". I costumi, ad esempio, erano ispirati alle tele di quadri di Morandi, con colori spenti, ben distanti da tutti i "merletti" con cui Goldoni era stato rappresentato fino ad allora. Fu anche la prima volta che vidi Venezia, tutte le prove Visconti volle si tennero qui, per respirare l'atmosfera della città, una esperienza indimenticabile!».

Vivrebbe a Venezia?

«Per viverci, l'ho sempre sostenuto, bisognerebbe essere un grande musicista che viene qui a comporre, o un grande pittore, o un grande romanziere come Thomas Mann... Ma anche un grande attore, purché il Teatro Stabile fosse davvero "stabile", e offrisse l'opportunità di recitare tutto l'anno. Avrei messo la firma per vivere a Venezia, forse oggi un po' meno, visto che tra meno di un mese compio ottantasette anni, e camminare troppo non sarebbe consigliabile».

Lei porta in scena voci straordinarie della "memoria collettiva", forse oggi se ne sente il bisogno?

«Non c'è dubbio, sono voci universali, viviamo in tempi nei quali nutrirsi delle loro parole è più che mai necessario. Le ho messe assieme secondo il mio gusto, fanno parte della mia vita come alcuni episodi che cito, fra tutti l'esperienza di essere internato in un campo di concentramento. Quanto ad altre voci del Novecento per le quali provo ammirazione, citerei Pasolini e Svevo. Di quest'ultimo, ma non è ancora deciso, credo porterò presto in scena qualcosa...»

Riccardo Petito