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INTERVISTE
ANDREA MOLESINI "VENEZIA, UNA NAVE ANTICA TROPPO DELICATA" in "Il Gazzettino", 29 marzo 2011, p. XXXII.
Mestre
“Una presentazione curiosa, perché questa è la libreria più vicina alla mia abitazione, proprio qui dietro...” Lo scrittore, saggista, traduttore e poeta Andrea Molesini, si è imposto dopo una produzione dedicata a bambini e ragazzi tra le voci più interessanti nel panorama letterario nazionale con il suo primo romanzo storico “Non tutti i bastardi sono di Vienna” (Sellerio), che ha presentato della Libreria Marco Polo a pochi passi dal Teatro Malibran.
Benché scrittore di grandissimo successo, non è noto a tutti che lei è veneziano...
«È vero, dopo anni vissuti all'estero risiedo oramai stabilmente nella mia città natale. Vale forse il detto “Nemo propheta in patria”, infatti non avevo mai presentato il romanzo in Centro Storico. Alla città lagunare ho comunque dedicato già due libri per ragazzi, “Quando ai veneziani crebbe la coda” nel 1989 e “Tutto il tempo nel mondo” nel 1998, editi da Mondadori. Posso anticipare di avere in cantiere un nuovo testo ambientato in un'Isola della Laguna, durante la Seconda Guerra Mondiale.»
Lei non è mai intervenuto pubblicamente, come giudica la Venezia odierna?
«Come una delicata nave antica, che purtroppo l'epoca moderna non tratta con le dovute cautele, quasi fosse un'imbarcazione di plastica mentre invece è di legno... La società di massa non è adatta a Venezia, non è compatibile con certe forme di contemporaneità, siamo attraversati da un flusso turistico pazzesco che non so cosa porti realmente.»
“Non tutti i bastardi sono di Vienna” è ambientato in una dimora di “signori” a Refrontolo nei pressi del fiume Piave, nei giorni della disfatta di Caporetto, nel 1917, dove gli italiani diventano ospiti in casa propria prima dei tedeschi, poi degli austroungarici, per arrivare alla controffensiva dell'anno successivo.
«È una storia di famiglia, che poi è la mia famiglia materna, ritratta durante un periodo del quale, sorprendentemente, non ci sono testimonianze narrative. Forse raccontare una sconfitta era poco in linea con la successiva retorica fascista. Ma ho voluto fosse anche un romanzo di formazione, nel quale il diciassettenne Paolo diventa adulto, conosce l'eros, la sua Patria si completa e lui diventa uomo.»
Riccardo Petito |