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INTERVISTE
GABRIELE LAVIA Venezia come il Louvre. Appartiene all'umanità di Riccardo Petito in "Il Gazzettino", n. 84, 28 marzo 2008, p. XXI.
Venezia
Affrontare un monumento della letteratura quale "Memorie del sottosuolo" di Fedor Dostoevskij, e proporlo in versione teatrale (peraltro la prima mai realizzata), dimostra sicuramente coraggio ma soprattutto certezza del proprio talento e professionalità. Che non difettano certo al regista e attore Gabriele Lavia , nome di massimo rilievo nel panorama teatrale non solo italiano, che si è cimentato con successo in tale impresa, portando in scena da stasera anche a Venezia, al Teatro Goldoni fino a domenica, affiancato da Euridice Axen e Pietro Biondi (nei ruoli della prostituta e il domestico) il testo da lui stesso ridotto e "rimontato". Si inizia, infatti, dalla scena conclusiva dell'incontro del protagonista, lo stesso Lavia , con la prostituta. Classe 1942, Lavia nella sua intensissima carriera è stato diretto a teatro da registi quali Giancarlo Sbragia, Luigi Squarzina, Giorgio Strehler e Mario Missiroli, al cinema da Francesco Maselli, Damiano Damiani, Mauro Bolognini, Giuseppe Tornatore e Pupi Avati, come pure da Francesco Nuti, Dario Argento e Gabriele Muccino, dando prova di estrema duttilità. Numerose le sue regie teatrali (a partire da "Otello" di Shakespeare nel 1975) e di opere liriche, e le direzioni artistiche. Gli abbiamo posto alcune domande, iniziando dal suo rapporto con la città lagunare.
Ha qualche particolare ricordo di Venezia?
"Chi è stato a Venezia, magari in più occasioni, e non ha ricordi particolari, non può dirsi uomo! Mi ricordo però, con straordinario affetto, il grande lavoro fatto per la messa in scena di "Zio Vanja" di Cechov, durante la direzione del Teatro Stabile di Giorgio Gaber, con la partecipazione vivissima degli studenti. Un caso particolare, in cui ho legato Venezia alla mia passione e professione, il teatro. Ma ho moltissimi altri ricordi".
Ha mai pensato di trasferirsi a Venezia e come giudica la città?
"Potrei ironicamente dire di non aver abbastanza soldi per acquistare una casa a Venezia, ho investito tutto ciò che avevo nei miei spettacoli. Venezia è senza dubbio una città viva, che abbisogna di una cura, di un'attenzione e di un amore, in una parola di salvaguardia, del tutto particolari: appartiene all'umanità, come il Louvre. È di tutti ma non per tutti. Onestamente, preferivo la città conosciuta nella mia giovinezza, senza venditori ad ogni angolo. Ma oggi, ovunque si vada, non c'è salvezza contro l'orrore!"
Come è nata l'idea di affrontare il romanzo di Dostoevskij?
"Lo amo moltissimo, ho pronto anche un altro testo tratto da lui, che prevede ben dodici attori in scena. Nel caso di "Memorie del sottosuolo" desideravo adattarlo da anni, ma era molto difficile trovare la chiave giusta, non amo gli adattamenti dove l'attore si limita a leggere dei brani, chi fa un'operazione seria deve necessariamente prendersi le sue responsabilità. Una notte, mentre pensavo alla giusta chiave, ho avuto l'intuizione di partire dalla conclusione del romanzo, l'incontro del protagonista con una prostituta in un bordello. Da qui, ho poi immaginato una scena che contenesse tutti i temi che desideravo inserire, mi è venuto facile. E quando le cose vengono facili, significa che si è sulla strada giusta".
Come giudica l'attuale panorama teatrale italiano?
"Preferisco non dare giudizi, ma semplicemente ricordare come il teatro sia la cosa più importante che l'uomo abbia inventato, è un assoluto, come la pittura, tutta l'esperienza umana si basa sul teatro, il teatro è un niente accanto a cui, se si ha fortuna, si dimora".
Riccardo Petito
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