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INTERVISTE ALESSANDRO HABER IN PLATONOV di Riccardo Petito in "Il Gazzettino", n. 30, 05 febbraio 2009, p. XVIII.
Venezia
Dopo Pirandello, il Teatro Goldoni propone fino all’8 febbraio un altro mostro sacro della drammaturgia, Anton Cechov. E dopo la magistrale interpretazione di Ugo Pagliai, tocca ad un altro nome di spicco del teatro italiano portare in scena un personaggio dai contorni enigmatici: Alessandro Haber infatti vestirà i panni di Platonov, “colui che poteva riuscire e non è stato”. Opera giovanile di Cechov, datata tra il 1880 e il 1881, segna anche il prosieguo del sodalizio tra il regista Nanni Garella (iniziato con il celeberrimo “Zio Vanja”), e Haber, al quale abbiamo posto qualche domanda.
Qual è il suo rapporto con Venezia?
«Straordinario, è la più bella città che qualcuno possa aver inventato, una favola che mescola fantasia, immaginazione e coraggio, voglia di mettersi in gioco. Ogni volta mi stupisce, e soprattutto mi piace in tutte le stagioni, non solo con il sole. Se sento dire che Venezia è invivibile non ci credo, io ci vivrei. Purtroppo in quarant’anni di lavoro ci son venuto pochissimo, più al Lido per la Mostra del Cinema, al Teatro Goldoni credo di non essermi mai esibito.»
Quanto ai personaggi goldoniani?
«Ho portato in scena un Arlecchino strepitoso nel 1995 sempre con Nanni Garella, una risposta a Strehler in anni in cui nessuno osava farlo. Un Arlecchino disperato, senza lavoro, un extracomunitario che si trova nei pasticci. Qualche anno dopo voleva farlo Paolo Rossi, ma ci ha rinunciato per problemi di salute. Provai una gioia immensa quando lessi su un articolo apparso allora su un noto quotidiano il mio nome tra gli Arlecchini storici. Non capisco perché non siamo venuti a presentarlo a Venezia… ma non è colpa mia, purtroppo non decido io dove andare!»
Lei è particolarmente legato a Cechov
«Sì, ma mi avvicino sempre con gran rispetto, e mi piace sperimentare strade nuove, dico sempre che per andare a Roma non c’è solo l’autostrada, la strada più comoda non mi interessa. Quanto al personaggio di Platonov, se Zio Vanja parte già sconfitto, Platonov non ci crede più, è un Don Giovanni di serie B di grande contemporaneità, non riesce ad amare pur innamorato dell’amore, ha sempre rimandato a dopo i suoi progetti, è amato da tutti ma alla fine si troverà con un pugno di mosche, ha un senso di morte addosso. Per interpretarlo, confesso, mi sono ispirato molto ad un mio vecchio amico, un talento maledetto, voleva fare il regista e lo sceneggiatore, ma aveva in sé il germe dell’autodistruzione, che l’ha portato a non combinare nulla. La troppa acutezza e intelligenza di Platonov porta allo smarrimento».
Riccardo Petito |