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INTERVISTE
LEO GULLOTTA LE OSSESSIONI PIRANDELLIANE DI LEO GULLOTTA di Riccardo Petito in "Il Gazzettino", n. 60, 11 marzo 2007, p. XVIII.
Venezia
Fra gli attori italiani più noti a amati dal pubblico, Leo Gullotta merita uno speciale elogio per la straordinaria capacità nel rivestire, con la medesima efficacia, i più diversi ruoli drammatici e comici, dominando in modo trasversale palcoscenici teatrali, cinematografici e televisivi. Da domani mercoledì, e fino a domenica 16, l'attore catanese sarà il protagonista de "L'uomo, la bestia e la virtù" di Luigi Pirandello, per la regia di Fabio Grossi, in scena al Teatro Goldoni. Città a lui assai cara, come ci tiene a sottolineare, anche in qualità di un "non patentato" poco amante del frastuono metropolitano.
Cosa la affascina in particolare di Venezia?
«Il suo essere fuori dal comune, la meraviglia che costantemente provoca e che fa volare l'anima. Amo moltissimo, infatti, passeggiare per le calli in zone silenziose, di sera e di notte in particolare, il semplice rumore dei passi riporta ad altri tempi. Oggi le metropoli sono impazzite, a chi viene dal caos e dal traffico pare quasi di fermarsi, senza parcheggi e automobili. Una dimensione assolutamente perfetta per me, che non ho neppure la patente. Alcune atmosfere simili le ho ritrovate a Bruges, in Belgio. A Venezia ho partecipato a due edizione della Mostra del Cinema (con "Scugnizzi" di Nanni Loy" e "Un uomo perbene" di Maurizio Zaccaro), non a caso chiamata Mostra "d'Arte" cinematografica, distinguendosi in questo dalla tanto avversata Festa del Cinema di Roma, che è una manifestazione ben diversa nelle intenzioni e che, credo, possa benissimo coesistere. Ho anche partecipato ad un Carnevale, nei panni della celeberrima Signorina Leonida mascherata da Colombina, per registrare un programma televisivo: ricordo un gran freddo, di notte in gondola per i canali!»
Come è nata la scelta di interpretare un testo di Pirandello?
«Su proposta del regista, Fabio Grossi (con il quale, credo, lavorerò di nuovo a breve), da me subito colta con entusiamo. Pirandello è l'autore più siciliano d'Italia, e nel contempo il più europeo, un meraviglioso letterato e drammaturgo che conosceva a fondo la macchina teatrale, e che in scena ha forse trasfigurato le sue paure, i suoi fantasmi e le sue ossessioni, con una incredibile forza del grottesco. "L'uomo, la bestia la virtù" è una tragicommedia, un triangolo formato da lei, lui e l'altro, un festival dell'ipocrisia mai come oggi così attuale: non a caso, se nella prima rappresentazione gli attori indossavano delle maschere, la scelta della regia è stata quella di toglierle, perché nella nostra società ciascuno ne porta già una.»Come si divide fra teatro, cinema e televisione?
«Il mio mestiere è fare l'attore, ho sessantadue anni, e più di quaranta li ho passati in scena. Sono cresciuto in un clima straordinario, al fianco di grandi personalità, una scuola umana e professionale unica. L'attore è un trasformista, un clown, deve regalare personaggi sempre diversi tra loro, ed è quello che ho sempre fatto.»
La satira politica, spesso oggi in discussione, che valore ha per lei, che in più occasioni l'ha praticata?
«È fondamentale, deve essere una guardia nei confronti del potere, stanare e sottolineare comportamenti poco limpidi, è una rappresentazione democratica. Ovviamente, con la consapevolezza che l'insulto è tutt'altra cosa. Semmai è la politica che imita lo spettacolo, e il cittadino si chiede perché mai dovrebbe affidarsi a persone che recitano e si truccano. Ma l'Italia è anche il paese in cui tutti parlano e nessuno ascolta, il primo dovere di ciascuno dovrebbe essere quello di informarsi e capire.»
Riccardo Petito
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