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INTERVISTE
Premio Campiello PAOLO COLAGRANDE
«C'è del marcio nel mondo dei libri» di Riccardo Petito in "Il Gazzettino", n. 206, 2 settembre 2007, p. II.
Negli ultimi giorni Paolo Colagrande, autore del romanzo Fìdeg, pubblicato da Alet, più che a Venezia guardava a quanto stava accadendo al Premio Viareggio-Repaci, in cui era finalista, e dove non è stato assegnato il riconoscimento all'Opera Prima che lo riguardava: il fatto è che il suo "Opera Prima" Colagrande se l'era già aggiudicato, nella selezione del Campiello di giugno a Padova, e quindi ieri è stato l'unico a non soffrire i patemi della finale.
Fìdeg (fegato, in dialetto nordemiliano, ma come esclamazione ha una portata evocativa più ampia, «bisogna provare a esclamarlo mangiando un po' la parola e allora si capisce», spiega Colagrande) è un testo originale, che ruota attorno all'idea avuta da un gruppo di amici scrittori di fondare una rivista, La Tubatura, ma che si apre con il tentativo di riscrittura da parte del narratore di un saggio sugli eroi da Garibaldi ai giorni nostri, andato per errore al macero, e che prosegue con l'inserimento di note ironiche e polemiche su certe logiche ed inganni editoriali. Iniziamo da qui la conversazione con l'autore.
Non trova curioso che un romanzo che svela alcuni retroscena del mercato letterario, partecipi a due premi "istituzionali" come il Campiello e il Viareggio?
«Forse sì, ma in realtà non credo ci sia da parte mia polemica, che non è giusto appartenga alla letteratura. Da il caso Ugo Pigozzi, che è la parte finale del romanzo, emerge un lato di certa editoria camuffato e forse marcio, ma soprattutto ridicolo, e tragico al tempo stesso. Finora, comunque, nessuno se l'è presa. E quando Bisi, la voce narrante, parla di letteratura e di scrittori, come Sandro Veronesi, Alessandro Baricco o Umberto Eco, non esprime polemica, e neppure satira: vede le cose dal suo piano terra e inevitabilmente abbassa di statura anche i miti».
Come si è sviluppata la stesura del libro?
«Più o meno partendo dal capitolo centrale, una cena con l'idea di fondare la rivistaLa Tubatura; da quello spunto è nato un tema parallelo: quello di un finto saggio sugli eroi. Del resto c'è un aspetto comico dentro la parola "eroe", è così rumorosa da risultare offensiva per gli eroi veri, che però non so chi siano. Lo stesso vale forse per la parola antieroe; ma l'antieroe è obbligato a non prendersi sul serio e quindi è più credibile. Il romanzo non riflette lo schema tradizionale di inizio e fine, si aprono infatti molte parentesi, anche i piccoli incidenti e le piccole tragedie quotidiane servono a capire. Qualcuno ha parlato di "non-romanzo", e alcune mie presentazioni sono state definite... "non-letture"! Quanto alla rivistaLa Tubatura, il richiamo è autobiografico, perché qualche anno dopo nacqueL'Accalappiacani con Paolo Nori, Ugo Cornia, Daniele Benati ed altri scrittori; credo che il nome si debba ad Ermanno Cavazzoni. Ci riuniamo tutti assieme a Reggio Emilia, un sabato al mese».
Si può parlare di "scuola emiliana"?
«Ho qualche dubbio su una tale definizione, posso dire che ci sono scrittori accomunati da un certo gusto dello scrivere, del raccontare, forse di interpretare il fenomeno della provincia, terreno che reputo fertilissimo, ricco di stimoli e spunti».
Nell'odierno panorama editoriale, quanto ritiene possa contare per un autore la vittoria ad un importante premio letterario, seppur nella sezione dedicata al libro d'esordio, come il Campiello? E quali sono state le resistenze alla sua partecipazione al Viareggio?
«Devo ancora rendermi conto di cosa significhi il riconoscimento, come pure della reale circolazione del romanzo tra lettori e critica. Ho però intuito che la vera "partita" si giocherà con la seconda pubblicazione, per la quale ci sono già diverse aspettative. Quanto all'inserimento del mio nome tra i finalisti della sezione opera prima al Viareggio, sembrava che la precedente vittoria di un premio ne precludesse la partecipazione, pertanto il mio nome era stato cancellato. In seguito, però, alcuni giurati avrebbero fatto presente che tale incompatibilità non esisteva e il libro è stato riammesso, anche se poi non premiato».
Riccardo Petito
L'avvocato della "scuola emiliana"
Paolo Colagrande è nato nel 1960 a Piacenza, città dove vive e svolge la professione di avvocato. Sposato con due figli, è stato spesso associato al gruppo di scrittori emiliani, che comprende anche Ugo Cornia, Daniele Benati e Paolo Nori. Assieme, hanno fondato la rivista L'accalappiacani, nel cui numero zero Colagrande ha pubblicato il racconto Non possiamo non dirci cani. Per Bompiani ha collaborato a Panta Emilia fisica. Fìdeg, edito da Alet , è il suo fortunato romanzo d'esordio, vincitore del Premio Campiello Opera Prima e finalista, per la medesima sezione, al Premio Viareggio.
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